Antonio Cassano: elogio della follia
A 21 anni da quel famoso gol all’Inter, il fenomeno di Bari Vecchia è ancora un esempio di genio e sregolatezza, del potrei ma non voglio.
Lancio dalla trequarti difensiva a saltare il centrocampo. Tra le linee si inserisce un biondino di appena 17 anni. Controllo di tacco e palla che alla perfezione segue la corsa davanti al numero 18 del Bari. Tocco di esterno destro a rientrare in area di rigore insinuandosi tra Blanc e Panucci.
Non proprio “due de passaggio” per dirla alla Mario Brega.
Tiro di destro e palla all’angolino alle spalle di Peruzzi.
Era il 42° minuto del II tempo di Bari-Inter del 18 dicembre 1999. Ed il biondino in questione era un certo Antonio Cassano.
Peter Pan, come lo battezzerà qualche anno dopo il famoso speaker Carlo Zampa. Mai soprannome fu più azzeccato. Ancora oggi Antonio Cassano sembra essere un eterno Peter Pan che non vuole crescere. Troppo fuori dagli schemi per accettare l’idea di abbandonare la sua isola che non c’è. Quel mondo tutto suo dedicato alla bellezza quasi fine a se stesso.
Un’isola di cui pochi eletti possono comprendere il significato. Tantomeno la missione. Quella di portare bellezza, fantasia, colore, parafrasando la famosa canzone di Luis Miguel “Noi ragazzi di oggi”, in un mondo dove la necessità di vincere ad ogni costo, di far quadrare i conti, di rispettare le pretese di un pubblico disabituato ad ammirare il bello, a godere del gesto fine, la fanno da padroni. Un mondo in bianco e nero.
Cassano: l’arte prestata al calcio
Antonio Cassano, da quel 18 dicembre, come un novello pittore fauvista, ha impersonato questo ruolo di dare colore. Un colore acceso, vivo, quasi sopra le righe. Un’arte in cui si supera la concezione di imitazione naturalistica della realtà.
Ma fu anche un po’ Picasso e un po’ Dalì, proprio perché non può essere identificato in un sol genere. In una sola corrente. Cassano non appartiene agli schemi. Andava interpretato. Perché capirlo era impossibile. Mai uguale a se stesso. Se non nel suo essere sopra le righe.
Bisognava farsi trascinare nel suo mondo e viverlo. Giocata dopo giocata. Follia dopo follia. Accettandolo così come era.
Come fece Pierluigi Collina che con il suo fare signorile, ma irremovibile, lo andò ad ammonire dopo il 4-0 alla Juventus in seguito al quale, come firma d’autore, spaccò la bandierina del calcio d’angolo in un impeto di gioia mista a follia. Folle come quella sua partita. Da 10 in pagella.
Annichilì, in coppia con Totti, la Vecchia Signora.
Totti. Con il quale formò una delle coppie calcistiche più forti di sempre.
Complementari tanto da sembrare i colori di Matisse.
Ma le storie d’amore, si sa, spesso non finiscono con il disneyano “vissero felici e contenti”.
Fantantonio di colpo, questa volta non di genio, si allontanò dal suo partner ideale. E di conseguenza da Roma, la città che più di tutte, seconda (forse) solo a Bari, lo ha accolto, amato, idolatrato.
Come un moderno gladiatore che esaltava le folle nelle arene dell’Impero.
Un lungo peregrinare senza meta
Partì per la Spagna dove un anno dopo ritrovò il suo maestro Fabio Capello, che nella Capitale lo aveva capito e cresciuto. Ma le “cassanate” per Don Fabio erano diventate troppe. Nessun elogio della follia di erasmiana memoria in terra iberica. A Madrid di campioni ne avevano a bizzeffe. E di lui, delle sue imitazioni dell’allenatore, potevano farne a meno.
Il pacco fu fatto reso e rispedito in Italia. Destinazione Genova, sponda blucerchiata.
Con la Sampdoria sembrava amore, una rinascita. Ma più che un calesse si rivelò l’ennesima follia. Litigò con il presidente Garrone e fu citato in Tribunale. Nel 2011 va quindi al Milan. Vince, non da protagonista, uno scudetto e soprattutto ha un malore. Gli fu diagnosticata una sofferenza cerebrale su base ischemica.
L’anno seguente passa all’Inter e vi rimane un solo anno collezionando 15 assist e 9 gol. Da lì andò al Parma portando la squadra emiliana al 6° posto. Con i ducali il rapporto si chiude male, a causa degli stipendi non pagati. Torna quindi alla Sampdoria ma anche qui ha di nuovo problemi con il nuovo presidente Massimo Ferrero.
Nel 2017 si accorda con l’Hellas Verona ma il rapporto dura ben 17 giorni.
Record? Beh l’anno dopo fa ancora meglio. Si accasa alla Virtus Entella, in serie B, ma dura solo 5 giorni.
Folle fine di una carriera fuori dalle classiche rime
Fine carriera da folle. Così come la sua vita passata a dribblare avversari tra i vicoli di Bari Vecchia passando per il Pantheon del calcio, come l’Olimpico e il Bernabeu.
Un novello Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento, credendo che siano nemici. Nemici che talvolta si è creato da solo. O che a volta erano demoni che aveva dentro e non è riuscito a dribblare. Talmente folle che non poteva, però, fare a meno di essere così. Di essere se stesso. Come quando, dopo il gol alla Bulgaria con la maglia della Nazionale, scoprì il “biscotto” tra Danimarca e Svezia e l’esultanza si trasformò in lacrime. Lacrime di chi viveva per il calcio. Di chi ha reso questo sport ancora più bello.
Un artista che, riprendendo ancora una volta i Maneskin, era nato per “spiegare cos’è il colore a chi vede bianco e nero”. Il titolo di questa canzone è “Vent’anni”. Ridateci l’Antonio Cassano che aveva 20 anni. Quello per cui gli applausi erano sempre troppo pochi.