Paolo Rossi: braccia al cielo per “l’hombre del partido”
Questo 2020 è riuscito a fermare anche Paolo Rossi. Cosa che non era riuscita alle più grandi difese di calcio degli anni ’80. Comprese quelle di Brasile, Argentina e Germania.
Mentre da un lato Claudio Gentile fermava Maradona e Zico, illuminato da Bruno Conti, soprannominato in quel mondiale Marazico e premiato come miglior giocatore del torneo, Paolo “Pablito” Rossi, dopo un avvio un po’ in sordina nel girone, cominciò a segnare e ad alzare le sue braccia al cielo. Uno, due, tre gol. Furono sei le reti a fine Mondiale, che gli valsero il titolo di capocannoniere. E quelle braccia levate sono diventate un simbolo, l’immagine di quel Mondiale di Spagna 1982 in cui l’Italia dopo quasi 50 anni tornò in cima al mondo.
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Ma la favola calcistica di Paolo Rossi non fu solamente il Mondiale. Ha vinto praticamente tutto con la maglia della Juventus, compreso un Pallone d’oro sempre nel 1982, a coronamento di quello che pochi mesi prima sembrava essere ancora un incubo più che un sogno. Per via dell’accusa, poi ritrattata, nello scandalo calcio-scommesse che gli costò ben due anni di squalifica.
Ma come araba fenice Paolino si rialzò complice anche la fiducia di Enzo Bearzot, allora CT dell’Italia, che decise di aspettarlo nonostante il reparto offensivo italiano poteva vantare un cannoniere del calibro di Roberto Pruzzo, che fu lasciato a casa.
La storia ha dato sicuramente ragione a Bearzot e Rossi. Il centravanti proveniente da Prato e di proprietà della Juventus, già quattro anni prima aveva infuocato i cuori azzurri nel Mondiale argentino. Ed in Spagna aveva ripagato la fiducia del CT.
In giovanissima età aveva trascinato il Lanerossi Vicenza alla promozione in serie A. L’anno dopo, sempre con i colori biancorossi, arrivò in testa alla classifica dei cannonieri davanti a gente come Savoldi, Giordano, Graziani, Pulici, Pruzzo, Boninsegna, Bettega e Altobelli.
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Dal fisico mingherlino, con le ginocchia fragili (furono tre i menischi rotti in carriera), imparò ben presto l’arte della serpentina sfruttando l’agilità per evitare la falciatrice dei rudi difensori degli anni 70/80. Un attaccante moderno, pronto anche a staccarsi tra le linee per fraseggiare con le ali. Ma sempre pronto in area di rigore, spuntando dietro un difensore o anticipandolo su una respinta.
Dal suo arrivo in Serie A fu sempre al centro della vita sportiva italiana. Prima trascinando il Lanerossi nelle parti alte della classifica e segnando gol a raffica. Poi per il costo del suo cartellino, 2 miliardi 612 milioni 510.000 lire. Una pazzia per l’epoca. Soprattutto da parte di una provinciale come il Vicenza del presidente Farina il quale, pensando di beffare l’esperto Boniperti, diede retta ad una soffiata e quando si arrivò alle buste per risolvere l’acquisto delle due metà del cartellino del centravanti, scrisse questa cifra. Le reazioni furono le più disparte. Addirittura il presidente delle Lega Franco Carraro si dimise e furono presentate due interpellanze in Parlamento. Ma Paolino, così chiamato dai più, continuava a segnare e a sorridere.
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Giocava con il sorriso, descritto come “gioioso e con una parola di conforto per tutti” da Graziani, suo compagno di reparto per due Mondiali. Un gioco spensierato dedicato molto “alle dinamiche del gruppo” come racconta Bergomi. Negli ultimi anni era stato un dirigente sportivo e un apprezzato opinionista, il cui modo di approcciarsi, anche ai giovani calciatori, senza mai far trasparire supponenza per la carriera avuta è stata sottolineata e lodata più volte.
Paolo Rossi se ne va così all’improvviso, come se fosse il suo ultimo scatto per battere a rete. Per alzare le braccia al cielo come in quell’infuocata Spagna del 1982. E può star sicuro che verrà ricordato come si augurava nella sua autobiografia: “Mi piacerebbe si ricordassero di me con un solo fotogramma. Maglia azzurra addosso, braccia aperte al cielo. Paolo Rossi: el hombre del partido”.